Animalisti in piazza a Sassari contro l’apertura di un allevamento intensivo

Le associazioni chiedono un passo indietro contro l’apertura dell’allevamento intensivo a Caniga.

Sassari scende in piazza contro l’apertura dell’allevamento intensivo con 1.500 maiali in località Caniga. La protesta si terrà domani, 1 novembre, in Piazza d’Italia dalle 17 alle 20. A manifestare le associazioni LAV, LEIDAA, OIPA, ARCI,AV, Animal Voices United ed AVI, le quali saranno presenti per esprimere contrarietà all’azienda della filiera “Il Grugno – Suino Grande Made in Sardegna”, riconducibile all’imprenditore Moro e collegato ad un’azienda di Cuneo che produce mangimi per allevamenti intensivi.

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Il 14 ottobre la struttura ha ottenuto l’ultimo via libera previsto – il controllo dell’ASL – e ha già iniziato a introdurre gli animali nei capannoni. Questa operazione viene presentata come “filiera sarda”, ma la realtà è diversa: si tratta di un impianto intensivo, costruito secondo modelli industriali del Nord Italia, con un impatto pesante sul territorio.

Cosa è un allevamento intensivo.

Le associazioni animaliste protestano contro il trattamento che subiscono gli animali rinchiusi dentro gli allevamenti intensivi. Chiusi in capannoni, senza mai toccare il suolo, senza vedere la luce del sole e senza alcuna possibilità di comportamento naturale. ”L’unico momento in cui saranno all’aperto sarà il trasporto verso il macello. L’allevamento pone conseguenze ambientali, sanitarie, etiche e sociali: Inquinamento del suolo e delle falde: i liquami di 1.500 animali concentrati in un’unica area rappresentano un rischio significativo di contaminazione e accumulo di nitrati nei terreni agricoli. Emissioni e cattivi odori che influiranno sulla qualità della vita dei residenti. Inquinamento atmosferico per ammoniaca e polveri sottili. Deprezzamento degli immobili nelle zone circostanti”, spiegano gli animalisti.

Un altro problema è il rischio sanitario. ”L’elevata densità di animali in spazi chiusi favorisce la diffusione di malattie infettive e zoonosi. La gestione sanitaria richiede spesso un forte uso di antibiotici, con effetti sul rischio di antibiotico-resistenza, un’emergenza riconosciuta dall’OMS. La movimentazione di animali e mezzi da altre regioni può favorire la circolazione di patogeni, inclusa la peste suina africana, già presente in diverse zone italiane: un rischio serio per tutto il territorio e per gli allevamenti non intensivi”, aggiungono le associazioni.

Ma il problema principale è la sofferenza degli animali, che vengono privati anche dello spazio minimo e di movimento. ”Non c’è alcuna dimensione etologica: non toccheranno mai la terra, non vedranno mai il sole, destinati solo a crescere rapidamente e a essere macellati”, spiegano ancora.

Gli animalisti vogliono fare sentire la propria voce per fare in modo che questi allevamenti intensivi non proliferino a causa del silenzio. La paura principale è che intere zone della Sardegna vengano trasformate in aree industriali della carne con capannoni e inquinamento. ”La Sardegna ha un patrimonio naturale e identitario incompatibile con un modello produttivo intensivo e industriale. Chiediamo: Stop all’espansione degli allevamenti intensivi in Sardegna; Trasparenza sugli iter autorizzativi; Tutela dell’ambiente e della salute pubblica; Modelli produttivi sostenibili e realmente locali. È il momento di fermarci”.

Se non interveniamo ora, tra qualche anno potremmo vedere la campagna sarda trasformata in un distretto industriale del suino, con conseguenze irreversibili per il paesaggio, la vivibilità e la salute. Diciamo STOP. Ora. La Sardegna non è una zona industriale. Gli animali non sono macchine. Il territorio è un bene comune da difendere. Invitiamo la cittadinanza a partecipare. Spiegheremo le motivazioni per cui bisogna dire NO a questo demenziale progetto. Una petizione è stata attivata a cui si può accedere tramite QR-code”, chiedono le associazioni a gran voce.

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