L’omicidio di Cinzia Pinna, quando la vittima viene processata

L’omicidio di Cinzia Pinna e la colpevolizzazione della vittima.

Di Pietro Lobrano.

L’omicidio di Cinzia Pinna, la donna di 33 anni di Castelsardo trovata senza vita a Palau, ha scosso l’opinione pubblica, non solo per la sua tragicità, ma anche per le reazioni che ha scatenato sui social media e in parte del dibattito online. Mentre il principale sospettato, Emanuele Ragnedda, ha confessato l’omicidio, una parte del commento pubblico si è concentrata sulla figura della vittima, analizzandone lo stile di vita e le circostanze della sua scomparsa in un modo che rischia di offuscare la gravità del crimine.

Questo fenomeno è noto come vittimizzazione secondaria o “victim blaming” (colpevolizzazione della vittima). Si tratta della tendenza a giudicare, stigmatizzare o ritenere parzialmente responsabile una persona per la violenza subita, basandosi su pregiudizi, stereotipi o su dettagli del suo passato. Nel caso di Cinzia Pinna, alcuni commenti emersi in rete si sono focalizzati sul suo stato psicofisico alterato la notte della scomparsa, come riportato da alcune testimonianze. Le immagini delle telecamere che l’hanno ripresa barcollare prima di salire sull’auto dell’aggressore sono state usate da alcuni per insinuare una sorta di imprudenza o leggerezza, spostando il focus dalla responsabilità del carnefice a quella della vittima.

L’analisi di questi commenti rivela un meccanismo pericoloso: il tentativo di creare una distinzione tra una “vittima ideale” e una “vittima non ideale”. La vittima “ideale” è percepita come innocente, pura, senza “colpe”, e le sue azioni non offrono alcuna giustificazione al crimine subito. Al contrario, la vittima “non ideale” – come una persona che si trovava in un locale notturno, consumava alcolici o era considerata poco “seria” – viene giudicata in modo più severo. Questo atteggiamento, però, ignora una verità fondamentale: nessuna scelta di vita, nessun comportamento e nessuna circostanza possono in alcun modo giustificare la violenza. Il solo e unico responsabile di un crimine è l’aggressore.

Giudicare la vittima ha conseguenze devastanti. Non solo le procura un’ulteriore sofferenza emotiva e psicologica, ma crea anche un clima di sfiducia che può scoraggiare altre vittime dal denunciare le violenze subite, per paura di essere a loro volta colpevolizzate e umiliate. Un crimine non è una negoziazione a due in cui la vittima ha la possibilità di evitare la violenza comportandosi in un certo modo.

In conclusione, l’omicidio di Cinzia Pinna è un tragico femminicidio che deve essere ricordato per quello che è: un atto di violenza inaccettabile, perpetrato da un uomo che ha poi confessato le proprie colpe. La nostra attenzione e la nostra indignazione dovrebbero rimanere saldamente rivolte al crimine commesso, non alle circostanze della vittima. Solo così possiamo onorare la sua memoria e contribuire a una società che combatta la violenza, non la stigmatizzi.

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