Gli ambulanti di Sassari sono alla fame: “In piazzale Segni non compra più nessuno”

Gli ambulanti di Sassari lamentano l’assenza di clienti a piazzale Segni

Per gli ambulanti di Sassari piazzale Segni è sempre più un deserto. Ogni lunedì i potenziali clienti dello storico mercato sassarese si assottigliano fino all’irrilevanza. “E molti di noi – commenta Sebastiana Battino, venditrice di merceria – sono già pronti a chiudere a mezzogiorno”. In quella cioè che sulla carta è l’ora di punta ma in realtà pare scoccare su un paesaggio fantasma. “In cinque ore – continua Sebastiana – ho avuto dieci clienti. Con questi numeri non esce neanche la giornata”. Poco lontano Ignazio D’Alessandro, commerciante di pigiami e capi d’intimo, conferma: “Ora carichiamo. Siamo svegli dalle 5.30 e abbiamo incassato 80 euro da spartire in due”. Nulla se si considera il guadagno da cui vanno sottratte le spese di benzina e di tasse. E questo niente o quasi è la somma ricavata dagli ambulanti non solo a Sassari ma anche anche negli altri mercati del circondario visitati nel resto della settimana, da Alghero a Porto Torres, da Tempio a Thiesi.

“In teoria dovrei andare nei prossimi giorni a Bosa – aggiunge Ignazio – ma non ne vale la pena”. Anche lì gli acquirenti sono spettri come invisibili diventano alcuni tra i 128 lavoratori circa che occupano il piazzale costretti a dare forfait per non andare in rosso. “Vengo qui – rivela Lino De Luca, gestore di alcune bancarelle di abbigliamento – due volte al mese perché c’è poco movimento”. Assenze centellinate per non finire fuori dai giochi: “Se ne facciamo tredici in un anno – rivela Maddalena Battino, segretaria regionale Ugl – ci tolgono il posto. Dobbiamo quindi uscire anche se gli incassi sono nulli”. Nulli ed erosi dai canoni, con la sensazione condivisa di un’ingiustizia: “Coi nostri 40 mq di suolo pubblico paghiamo la stessa aliquota – sottolinea De Luca – di chi ne prende cinquemila”. Non solo. “Si pagano tariffe – interviene Roberto Marongiu, presidente Ana Sardegna – tarate su una giornata lavorativa ma noi qui stiamo sette ore quando va bene, e due di queste vanno via per montare e smontare”. Per non parlare delle giornate di grandine e forte vento che annullano qualsiasi introito: “E non c’è un fondo di solidarietà per risarcirci”. A proposito di ristori, finiti quelli della Regione la categoria si è rivolta sia a Cagliari che al governo per averne altri o chiudere bottega.

Ma perché a Sassari, così come nel resto d’Italia, i mercati vanno diserti? “Hanno terrorizzato – riflette Franco Provvisionato, davanti al suo stand di oggetti per la casa – così tanto la gente che ormai non esce più nessuno”. La grande paura è il covid, un nuovo lockdown, i salari che crollano, il caro-energia. “C’è molta paura e poco denaro anche per i bisogni primari – si accoda Ivana Ruzzeddu, che vende frutta e verdura e fa una gran fatica a farsi comprare i suoi mille kg di merce – La nostra giornata inizia alle quattro del mattino e finisce alle sei di sera. Non ci possiamo permettere di saltare neanche un giorno di lavoro”. Una fatica che si regge sulla speranza che le cose cambino. Ma il fatto che perfino le vendite di generi alimentari, nel luogo più economico di Sassari, siano così basse non è un buon segnale. Per nessuno.

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