Nel carcere di Bancali si beve l’acqua sporca dei rubinetti: “Detenuti in pericolo”

Assenza di acqua potabile nel carcere.

A Bancali il pericolo viene dall’acqua. Lo denuncia Antonello Unida, garante dei detenuti di Sassari che mercoledì, a Palazzo Ducale, nella relazione annuale sulla sua attività, ha illustrato, in V Commissione, i problemi del penitenziario alle porte del capoluogo turritano. Una struttura inaugurata nel 2013 e ancora priva dell’acqua potabile. La mancanza non è trascurabile. Non tutti i carcerati infatti hanno la possibilità di acquistare le bottiglie col prezioso liquido.

Le dichiarazioni di Unida.

“In molti bevono dal rubinetto. È un’acqua sporca, aranciata – spiega il garante che sottolinea come il consumo accomuni sia sassaresi che extracomunitari -. Vi sono effetti pericolosi e progressivi sulla salute. Lo vedo da lontano se ne fanno uso. Sono magrissimi e dal ventre prominente, oltre ad essere spesso senza denti“.

Le conseguenze fisiche.

Queste le conseguenze visibili mentre le altre, all’opera sottotraccia, compromettono alla lunga la funzionalità degli organi vitali. Neppure la grande generosità dei cittadini i quali regalano con frequenza casse di acqua minerale agli ospiti del carcere, può al momento sopperire al problema. Tra le altre criticità segnalate l’eccesso di casi psichiatrici, la presenza di un solo funzionario pedagogico su 397 detenuti e la presunta latitanza del Comune per il disbrigo delle pratiche burocratiche chieste dai detenuti.

L’attacco.

“È vergognoso – tuona Unida -, che da 15 giorni non si veda il referente dell’amministrazione“. L’accusa provoca la reazione della dirigente Daniela Marcellino, vicesegretario generale, che interviene sospendendo la seduta e negando le affermazioni del garante. I toni tra i due salgono di volume fino al chiarimento, al cellulare e in viva voce, del dipendente comunale chiamato in causa: “Ero a Bancali ieri”, spiega l’uomo. La Marcellino interviene subito dopo: “Il garante è scollegato dall’amministrazione e non è neanche bene informato dalla direzione carceraria”. Sarebbe quindi una mancanza di comunicazione ad aver originato l’equivoco tra le parti: “Noi – conclude la dirigente -, teniamo al servizio e ci rechiamo nella struttura almeno due volte al mese”.

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