Il destino del “Giardino di Canapa” di Sassari resta ancora sospeso

marijuana

Al centro dell’inchiesta di Sassari l’effetto drogante dei derivati della canapa industriale.

A settembre, il giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Sassari dovrà decidere sul destino giudiziario dei tre soci della società “Giardino di Canapa“. Si tratta di un’impresa con sede nella zona industriale di Predda Niedda, chiusa nel febbraio dello scorso anno dopo un’operazione della Squadra Mobile di Sassari.

Il blitz.

Nel corso del blitz, gli investigatori avevano sequestrato ben 12 quintali di cannabis sativa custoditi in un capannone riconducibile all’azienda. L’attività, avviata da tre imprenditori sassaresi, commercializzava derivati della canapa industriale per finalità cosmetiche e terapeutiche.

Nei materiali promozionali si faceva riferimento alle proprietà antinfiammatorie, rilassanti, antiossidanti, antiepilettiche e antipsicotiche della cannabis utilizzata, sottolineando come le varietà impiegate fossero regolarmente iscritte nel catalogo comune delle specie di piante agricole approvato dall’Unione Europea.

I prodotti, dichiaravano i titolari, venivano venduti per uso tecnico e da collezione, nel rispetto della legge 242/2016. Lo scorso gennaio, il pubblico ministero Angelo Beccu aveva chiesto l’archiviazione del procedimento a carico degli indagati, alla luce di due consulenze tecniche che, in sintesi, avevano concluso per l’inoffensività del fatto: secondo gli esperti, la sostanza sequestrata conteneva una percentuale di principio attivo (THC) talmente bassa – tra lo 0,4 e lo 0,9% – da richiedere un uso abnorme per ottenere un effetto drogante.

Il giudice per le indagini preliminari, Sergio De Luca, ha però rigettato la richiesta, ordinando l’imputazione coatta degli indagati. A fondamento della decisione, il gip ha richiamato non solo i limiti della legge 242 del 2016, che regola la coltivazione della canapa industriale in Italia, ma anche una recente pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione. In particolare, il giudice ha ritenuto che la condotta dei tre soci non rientrasse nella cornice lecita delineata dalla normativa, sottolineando come la sostanza sequestrata – in molti campioni – superasse lo 0,6% di THC. Inoltre, secondo il gip, l’efficacia drogante non dipende esclusivamente dalla percentuale del principio attivo, ma da molteplici fattori.

Gli effetti del “decreto sicurezza”.

Nel frattempo, sul settore è calato un ulteriore colpo: con la recente conversione in legge del decreto Sicurezza, il Parlamento ha stabilito un divieto esplicito e generalizzato che interessa l’intera filiera della cannabis light.

La nuova norma vieta infatti l’importazione, la cessione, la lavorazione, la distribuzione, il commercio, il trasporto, l’invio, la spedizione e la consegna delle infiorescenze di canapa, anche se coltivate legalmente, siano esse semilavorate, essiccate o tritate. Il divieto si estende anche a prodotti contenenti o costituiti da infiorescenze, compresi estratti, resine e oli.

Per i soci del “Giardino di Canapa” la situazione è diventata insostenibile. Dopo il sequestro, l’attività è stata interrotta, i dipendenti licenziati e il capannone chiuso. I prodotti – tra cui saponi, creme e articoli tessili – erano basati sulla lavorazione sinergica della canapa con altre piante officinali. Ma neanche l’accurata presentazione commerciale è riuscita a salvare l’azienda dal tracollo.

Ora, con il rinvio a giudizio chiesto dalla Procura e l’inasprimento normativo introdotto dalla nuova legge, per gli imputati si apre un capitolo ancora più difficile.

La Sentenza è attesa a settembre.

Come scrive La Nuova Sardegna, il giudice dell’udienza preliminare deciderà a settembre se accogliere la richiesta della Procura e mandare a processo i tre imputati per produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti.

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