A Sassari tra la Seconda Guerra Mondiale e la Resistenza

Seconda Guerra Mondiale e Resistenza a Sassari.

La fonte di studio più autorevole sulla storia della seconda Guerra Mondiale e resistenza, a Sassari, era senza dubbio il compianto professor Manlio Brigaglia.

Secondo lo storico, la partecipazione della Sardegna durante il conflitto e nel periodo della Resistenza, è stata diversa rispetto alla penisola e all’Europa. Infatti, a differenza di altri luoghi, l’isola non è stata oppressa dalle avanzate e dal rientro caotico degli eserciti combattenti. Questo “fortunatamente” per il distacco geografico che produsse l’isolamento totale della Sardegna con la necessità di un autogoverno successivamente riconosciuto ufficialmente dallo Stato.

Il secondo conflitto mondiale iniziò il 16 giugno 1940 con le prime bombe sull’aeroporto di Elmas, a Cagliari. E furono i cagliaritani a patire le conseguenze più aspre, sia per il numero di morti che per le successive difficoltà. A Sassari, invece, il dramma peggiore si consumò nel maggio 1943 quando, fra il 13 e 14 maggio, tutta l’isola venne attaccata da oltre 650 aerei, coinvolgendo anche Porto Torres, Olbia e Alghero. In quest’ultima città, tra il 17 e 18 maggio, l’incursione provocò 52 morti. Il bilancio complessivo dei bombardamenti, stando ad alcune ricerche, provocò 58 morti ad Alghero, 3 a Chilivani, 22 a Olbia, 5 a Porto Torres e 3 a Sassari.

L’8 settembre ebbe in Sardegna uno andamento unico fra gli scenari cui l’armistizio diede vita in Italia e fuori d’Italia. Cosicché il generale Basso diede disposizione di opporsi alle reazioni tedesche alla notizia dell’armistizio, accordandogli immediatamente la garanzia che avrebbero potuto lasciare l’isola indisturbati.

In questi drammatici frangenti, inizia la resistenza con la partecipazione dei sardi alla lotta di liberazione. Un apporto fondamentale che si è avuto grazie all’apporto dei protagonisti. Uomini di ogni età accomunati da una grande lotta di popolo distinti in due categorie. Da una parte quelli che avevano partecipato alla lotta contro il fascismo già nel primo dopoguerra o durante gli anni Venti e Trenta. Poi quelli più giovani, che nell’emigrazione avevano sperimentato il volto oppressivo della dittatura con l’esperienza di confino, carcere o guerra.

Ma vi sono anche quelli cresciuti con l’ideale fascista che hanno abdicato in nome della libertà, con un netto rifiuto al passato per voltare la spalle a quello che fu l’esperienza nazifascista.

Condividi l'articolo