Antonello Spanu, lo chef con il lievito madre vecchio di un secolo

Al ‘1986’ la nuova cucina dal sapore tradizionale.

A Sassari un giovane lievito madre da oltre un secolo. A farlo fermentare, rinnovandolo ogni settimana, Antonello Spanu da Ossi, cuoco e co-gestore insieme a Gianmario Peralta del bar ‘1986’ in viale Adua. Diplomato all’Istituto Alberghiero sassarese, lavora nella ristorazione dal 2002 fino al colpo di fulmine, sette anni più tardi, per la pasticceria. E qui, tra pratica e formazione, incontra la sua maestra Vanna Manca, lievitista attiva da tempo nella divulgazione della materia, che gli fa dono della preziosa pasta acida ricevuta a sua volta da un altro esperto piemontese. “A suo dire – racconta Antonello – risale a oltre un secolo fa”. Ma cos’è un lievito madre? “E’ un organismo simbiotico, fatto di farina e acqua, che, in base all’esperienza dell’artigiano, alla cura che ne ha e all’utilizzo che ne deve fare, lo porta avanti nel tempo”.

Dandogli da mangiare e bere, “altrimenti mi abbandona”, chiosa il 37enne, esemplificando l’affascinante processo che porta il composto a rinnovarsi caricandosi di lieviti e batteri – “che sono ovunque nell’ambiente e anche nella stessa farina”- pronti ad auto selezionarsi, adattarsi, riciclarsi. Il risultato si vede nella qualità dei prodotti- dai pani alle paste, dal dolce al salato- che si caratterizzano per aroma, valore nutrizionale e, non ultimo, digeribilità. Con quest’ultimo aspetto evidente, ad esempio, nel pane integrale la cui farina è ricca di “acido fitico, un antinutriente che blocca l’assorbimento di vitamine e sali minerali e che il lievito madre è in grado di distruggere”. Segreti di un novello alchimista, o semplice ‘appassionato’ come si definisce lui, che continua a sperimentare, anche dopo turni da diciotto ore: “Combino gli elementi e vedo come si comportano”. Una pratica collaterale ai due procedimenti base con la pasta madre: “Il solido, per i grandi lievitati, come colombe e panettoni, e quello per la panificazione con il li.co.li. (lievitazione con cottura liquida)”.

Un metodo in realtà antico, come specifica Spanu: “Non ci stiamo inventando nulla. Si faceva così anche anni fa prima che la tradizione si perdesse. Da noi il futuro è il passato”. E se ci si è in parte dimenticati di quel sapere è anche, o soprattutto, colpa della laboriosità che richiede, incongrua per i tempi e le produzioni industriali di oggi. Per recuperarla serve lentezza e ingredienti scelti che, nel caso del 1986, sono perlopiù sardi a eccezione delle uova (corse) che, per Antonello, vegano, creano qualche problema: “Non è il massimo, mi rendo conto. Si tratta di un compromesso”. Di sicuro lo strutto al ‘1986’ non è di casa così come la farina doppio zero- “Uso la uno”- sempre nell’ottica di costruire una alimentazione gustosa ma secondo certi principi. Intanto lui continua a formarsi e a imparare: “Ultimamente mi sto interessando ai grani sardi antichi”. E spiega come certi pani, nati da mulini che macinano i loro stessi grani, potranno non avere un’estetica sopraffina ma “a livello organolettico non c’è paragone”. Insomma, sono più buoni, anche grazie a quella pasta madre vecchia, e bambina, dei primi del ‘900.

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