La diocesi e gli avvocati difendono il vescovo di Ozieri

La Diocesi, tramite la difesa, risponde al rinvio a giudizio per il caso Becciu.

La Diocesi di Ozieri ha risposto, con una lettera della difesa pubblicata sulla pagina ufficiale, dopo la richiesta di rinvio a giudizio per il caso dei fondi dell’8 per mille in cui sono coinvolti il vescovo di Ozieri Corrado Melis e Antonino, fratello del cardinale Becciu.

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Per amore e giustizia non possiamo tacere”, si legge nel post pubblicato nella pagina ufficiale che riporta le precisazioni degli avvocati Ivano Iai e Antonello Patané sul caso che ha coinvolto il vescovo di Ozieri. La lettera è stata scritta dopo conclusioni del Pubblico Ministero, all’odierna udienza davanti al gup del Tribunale di Sassari e con riferimento alle accuse della Procura della Repubblica di Sassari, in merito alla sottrazione dei fondi destinati alla Diocesi di Ozieri.

Nel rispetto delle prerogative e delle determinazioni del Pubblico Ministero, occorre sottolineare, anzitutto, che si tratta di una mera richiesta di rinvio a giudizio proveniente dalla parte processuale titolare della pubblica accusa – scrivono i legali -. Agli argomenti esposti dal Dott. Caria nell’odierna udienza saranno contrapposti, nell’udienza di rinvio del 3 febbraio 2025, quelli delle difese degli imputati, per sottolineare l’insussistenza degli illeciti contestati, ossia il presunto uso indebito dei fondi CEI dell’8 per mille e l’asserita distrazione della somma di centomila euro che la Diocesi ha ricevuto dalla Segreteria di Stato vaticana”.

In proposito, nel ricordare che sia la CEI, sia la Segreteria di Stato vaticana, ma anche il Ministero dell’Economia italiano non si sono costituiti parti civili nel processo – si legge ancora – così non lamentando alcun illecito o danno in relazione alla condotta della Diocesi e dei suoi collaboratori, si sottolinea con estrema semplicità e al tempo stesso con la forza dei dati oggettivi e documentali, che ogni singolo centesimo dei fondi dell’8 per mille è stato utilizzato per scopi caritatevoli e solidali, mentre la somma ricevuta dalla Segreteria di Stato risulta ancora depositata in un conto bancario della Diocesi”.

La Diocesi, attraverso i suoi legali, fa sapere che non c’è stato alcun uso o distrazione di denaro per scopi privati e che la Spes è una cooperativa onlus della quale la Caritas e la Diocesi di Ozieri si servono per perseguire solidarietà e carità ”secondo criteri autonomi non sindacabili dall’Autorità italiana ma, eventualmente, dai soggetti latori dei finanziamenti che, nella specie, non solo non hanno mai rilevato anomalie di gestione, né contestato alcunché, ma hanno addirittura confermato, anno per anno, i contributi finora erogati”.

La difesa si fa sapere fiduciosa di poter dimostrare l’uso corretto delle risorse ricevute, perché in possesso della documentazione trasparente. ”In proposito, ferma restando la corretta modalità di impiego delle somme predette, occorre evidenziare l’irrituale ingerenza dell’Autorità italiana quanto alla gestione dei fondi dell’8 per mille, il cui controllo, di esclusiva pertinenza della CEI, non compete a soggetti diversi da quelli preposti al governo degli affari della Chiesa cattolica, nel rispetto dell’art. 7 della Costituzione e del Concordato”, aggiungono i legali.

La Diocesi si ritiene estranea dalle accuse di peculato. “La connessione tra la richiesta di rinvio a giudizio della Procura di Sassari e il processo vaticano (nella parte relativa alle presunte distrazioni di fondi asseritamente pubblici in favore della Cooperativa solidale di Ozieri Spes) ha, infatti, innescato un circolo vizioso realizzatosi con la rogatoria che ha visto intersecarsi le procedure vaticana e italiana e che ha di fatto determinato una sistematica violazione dei diritti di alcuni tra gli imputati nel procedimento: basti pensare al fatto che il verbale integrale della deposizione del Vescovo di Ozieri, escusso senza alcuna garanzia come testimone davanti al Tribunale vaticano, è rifluito nel processo sassarese, dove lo stesso Vescovo ricopre la qualità di imputato”, scrivono gli avvocati.

La Diocesi, tramite gli avvocati, ritiene che il profilo delle testimonianze acquisite davanti al Tribunale vaticano risulta incompatibile con l’ordinamento italiano, in quanto le modalità di assunzione violano le leggi processuali nazionali, rendendo tali atti inutilizzabili e che l’ordinamento processuale e sostanziale del Vaticano, risalente a oltre un secolo fa, non garantisce i diritti fondamentali degli imputati e delle persone sottoposte a indagini, come avviene invece in Italia.

La difesa ritiene inoltre che gli atti acquisiti dall’Autorità vaticana, inclusa la sentenza di condanna del Cardinale Angelo Becciu, non possono essere riconosciuti dal sistema giuridico italiano, in quanto contrari ai principi costituzionali e alla Convenzione europea dei diritti umani.

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