Concluso stamattina il progetto “Ho la stoffa per” a Latte Dolce
Diciotto donne, 180 ore di formazione, un progetto triennale: “Ho la stoffa per…”. Stamattina nel quartiere di Latte Dolce a Sassari l’evento finale dell’iniziativa promossa dall’associazione Inthum, sostenuta dalla Fondazione Sardegna, in collaborazione con Spazio Mamme e il partenariato nell’ultimo anno di Uisp, Punto Luce, Save the Children.
Su un lungo banco sono esposti i frutti dei tre anni di apprendimenti sartoriali – dal cucito alla modellistica – sotto la guida delle scuole ‘Arte e Moda’ ed ‘Estire’: dalle shopping bag alle presine ai grembiuli alle borse sarde. Esiti materiali di un obiettivo a più lungo raggio: “Vogliamo – spiega Francesca Antongiovanni, una delle referenti di “Ho la stoffa per” – creare autonomia e dar vita a un progetto di attivazione comunitaria”.
Con ricadute sociali importanti e due possibili direttrici: “Acquisire competenze – dichiara Vittoria Casu, presidente di Inthum – e magari aprire un proprio laboratorio di quartiere“. Intanto le corsiste misurano i risultati del proprio lavoro: “Siamo tutte casalinghe – riferisce una delle corsiste – e nessuna sapeva cucire se non per piccole cose. Ritornare a scuola è stato entusiasmante e non ci fermeremo qui“. La consapevolezza è di aver messo in moto un meccanismo di riscatto dentro un contesto, come quello delle periferie, che soffoca l’entusiasmo: “Sono piccoli progetti – aggiunge Alberto Merler, esponente dell’Inthum – dal grande significato. E’ fondamentale che la gente partecipi e si senta partecipe”.
Come è stato decisivo nell’ospitare i corsi l’apporto di Punto Luce, centro educativo di via Martin Luther King i cui compiti variano dall’accompagnamento allo studio dei minori alle attività ludico-sportive al supporto alla genitorialità. Un impegno accresciuto durante il primo lockdown: “Abbiamo iniziato – illustra Mary, responsabile insieme a Marianna della struttura – con il raccogliere i bisogni dei bambini procurando tablet e connessioni per la dad. Tutto questo però non bastava: le famiglie avevano bisogno di essere ascoltate“.
E sono tante le paure raccolte: dal timore infondato che i servizi sociali possano sottrarre i figli a quello del giudizio altrui: “Cerchiamo – continua Mary – di evitare l’assistenzialismo e di farli uscire dalla loro bolla”. Perché solo nel rapporto con l’esterno si trovano le soluzioni e la salvezza: “Facciamo rete coi consultori, i centri di salute mentale, quelli anti-violenza, i servizi sociali. Grazie a queste relazioni le donne che si rivolgono a noi sfuggono ai compagni che le maltrattano e i figli possono crescere in un ambiente sano”. Anche qui tessendo e cucendo, anche se non stoffe ma rapporti umani. Opere durature dal valore inestimabile.