La morte avvenuta nel 2015 nel parco acquatico Water Paradise di Sorso.
È passato quasi un decennio dall’incidente costato la vita a Fabrizio Gastaldi, agente di commercio sassarese di 44 anni, morto dopo sei giorni di agonia in seguito a un tragico episodio avvenuto l’11 luglio 2015 al Water Paradise di Sorso. L’uomo era precipitato dallo scivolo “Toboga”, finendo con la testa in giù nella piscina di arrivo, dove l’acqua era particolarmente bassa. L’impatto violento gli aveva provocato gravi lesioni, rivelatesi poi fatali nonostante i tentativi di rianimazione effettuati dai bagnini presenti.
Trasportato d’urgenza all’ospedale civile di Sassari, Gastaldi era rimasto ricoverato nel reparto di Rianimazione per diversi giorni. Dopo la constatazione della morte cerebrale, i familiari avevano autorizzato la donazione degli organi.
Dall’archiviazione penale al lungo percorso civile.
Subito dopo la morte al Water Paradise di Sorso, la Procura aveva aperto un procedimento penale nei confronti della società “Iniziative Commerciali srl”, che all’epoca gestiva la struttura. Tuttavia, l’indagine si era chiusa con un’archiviazione, di cui i familiari non erano stati informati in tempo utile per opporsi.
In sede civile, la vedova aveva promosso una causa per ottenere un risarcimento, sostenendo che l’incidente fosse dipeso da carenze di sicurezza o da negligenze nella gestione dello scivolo. Ma sia in primo grado sia in appello, i giudici avevano respinto la domanda, fondando la decisione principalmente sulle dichiarazioni dei bagnini, raccolte nel procedimento penale.
La difesa della donna aveva poi impugnato la sentenza, ritenendo che la Corte d’Appello avesse omesso di ammettere prove ritenute decisive: le testimonianze di alcuni presenti, la verifica tecnica sulla conformità dello scivolo e la produzione di documenti e filmati della società. Secondo la ricorrente, la mancata ammissione di queste prove aveva leso il diritto di difesa e impedito di accertare con precisione la dinamica dell’incidente.
La decisione della Cassazione.
La Cassazione civile ha ora accolto il ricorso della vedova, riconoscendo la fondatezza delle contestazioni relative al “diritto alla prova”. I giudici supremi hanno stabilito che le dichiarazioni e gli atti raccolti nel procedimento penale possono essere utilizzati anche in sede civile. Ma hanno ritenuto illogico il rifiuto di ammettere ulteriori elementi istruttori richiesti dalla parte attrice.
La Suprema Corte ha quindi disposto la riapertura del processo civile, rinviando il caso alla Corte d’Appello perché venga rinnovata l’istruttoria e siano ascoltate le testimonianze escluse in precedenza. Solo al termine di questo nuovo esame potranno essere stabilite in modo definitivole reali responsabilità nella morte di Fabrizio Gastaldi.





