Troppo “vecchi” per l’area di rigore: il calcio dopo l’età d’oro

Diventare un calciatore è forse il sogno più diffuso tra i bambini. Tutti amano la fama, la gloria, il tifo. Ciò su cui non ci si sofferma, però, sono tutti i lati negativi, ovvero la pressione, la perdita della privacy, l’allontanamento continuo dalla propria famiglia e la possibilità di stravolgere i propri piani di vita in pochi attimi.

Ciò che spesso non si considera è la fine della carriera da calciatore. In media, un calciatore professionista appende gli scarpini al chiodo intorno ai 35 anni. Un’età in cui ancora non si può andare in pensione e dopo una vita intera dedicata ai campi da calcio, occorre reinventarsi.

I calciatori professionisti possono andare in pensione a 66 anni, ma secondo l’AIC (Associazione Italiana Calciatori), per poter beneficiare della pensione, i calciatori devono aver versato contributi per almeno 16 anni e 8 mesi, qualcosa che risulta difficile in categorie normali.

Inoltre, quando termina la carriera di un calciatore, bisogna tenere a mente il fattore salute. Spesso, la salute dei calciatori una volta ritirati non è al meglio. I dati dicono che la percentuale di calciatori che sono costretti a fare i conti con problemi di salute supera il 40%. I problemi principali sono legati alle ginocchia e alle caviglie. Ovviamente, le cure per questi determinati tipi di problemi hanno un costo e spesso molto elevato. Per un calciatore professionista di lega inferiore, non risulta facile affrontare una situazione del genere.

I problemi degli ex calciatori


In realtà, non è mai facile neanche per i calciatori che hanno avuto il privilegio di giocare nell’élite assoluta. Basti pensare al calvario di giocatori come Van Basten o Batistuta che sono stati due degli attaccanti più forti di sempre. L’olandese è stato costretto al ritiro a 28 anni a causa di reiterati problemi alla caviglia che gli impedivano di camminare. L’argentino, una volta smesso, era talmente disperato da volersi amputare le gambe a causa del dolore che stava soffrendo. Queste sono le parole dello storico attaccante di Fiorentina e Roma in un’intervista rilasciata al Corriere della sera: “appena smesso, mi sono ritrovato con le caviglie a pezzi. Non avevo più cartilagine. Osso contro osso, su un peso di 86-87 chili: il minimo movimento diventava un tormento”.

Lo stesso problema di Van Basten, che ha detto basta a 28 anni: “certi giorni non riuscivo a scendere dal letto. Piangevo di rabbia e mi dicevo: non può finire così. La mia famiglia mi reclamava: ora puoi stare con noi. E invece soffrivo, stavo male. Così male che sono andato da un amico medico e gli ho chiesto di amputarmi le gambe. L’ho pregato, ho insistito. Gli ho detto che quella non era più vita”.

Rimanere o allontanarsi dal mondo del calcio?


Se si ha avuto la fortuna e il talento di poter giocare a calcio ai massimi livelli, rimanere nel mondo del calcio una volta smesso, è una delle opzioni più contemplate. Le alternative sono tantissime e la richiesta è molto alta. Tantissimi decidono di conseguire il tesserino da allenatore e spesso riescono a ottenere un posto nei loro vecchi club. Per esempio, quando Inzaghi rischiava l’esonero, sui siti scommesse uno dei principali candidati alla sostituzione era Stankovic, ex-gloria nerazzurra.

Tanti, invece, decidono di diventare opinionisti e possono farlo in radio, negli studi televisivi, a bordo campo o, ultimamente, anche sui social; altri intraprendono una carriera dirigenziale e anche qui i rami in cui si suddivide sono tantissimi. C’è chi decide di dedicarsi allo scouting, chi al mercato, chi alla comunicazione, chi, invece, preferisce stare più nell’ombra e avere un ruolo burocratico e chi invece vuole ancora le luci del passato e decide di assumere un ruolo di rappresentanza.

Alcuni, infine, decidono di staccare completamente dal mondo del calcio e decidono di investire il denaro guadagnato in imprese che possano permettergli di dedicarsi a nuova attività e chiudere ogni possibile contatto con il mondo del calcio.

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