Da 17 mesi senza stipendio, il dramma dei lavoratori della Divina Provvidenza di Sassari

I dipendenti della Casa della Divina Provvidenza senza stipendio da 17 mesi.

È notte per i lavoratori della Casa della Divina Provvidenza di Sassari. “In un anno da 43 siamo rimasti in 22 – spiega una dipendente – di cui dieci oss, un’ausiliaria e un’infermiera”. L’organico, roso da licenziamenti e aspettative, si sfibra con turni da 13 ore quotidiane sette giorni su sette. “Non siamo più in grado di dare un’assistenza adeguata ai pazienti – aggiunge una lavoratrice – abbiamo paura di sbagliare e fare danno”. Sono 48 gli ospiti superstiti dell’Istituto di via Sant’Anna dopo le dimissioni dei mesi scorsi e, riferisce il personale, soltanto due i nuovi ingressi. E per rimanere nell’ambito delle crude cifre, se non crudeli, sono 17 le mensilità arretrate dovute ad alcuni dipendenti: oltre 20mila euro di stipendi non versati. “Però a novembre – considerano amaramente – ci hanno dato un acconto di ben 650 euro”.

Eppure a giugno dell’anno scorso si prospettavano scenari ben più rosei. La Regione aveva appena insediato alla guida dell’ente manzelliano il commissario straordinario Pino Ortu col compito di risollevare le sorti della casa di riposo in tre mesi poi prorogati da altri sei. Lui firma subito la revoca dei licenziamenti voluti dalla precedente amministrazione e “incassa” i 600mila euro stanziati a ottobre con un emendamento alla legge Omnibus regionale. Ma proprio qui sembra arenarsi il futuro della Casa: “La somma è nella disponibilità – spiega il progressista Antonio Piu tra i promotori dell’emendamento – del commissario. Deve soltanto scendere a Cagliari, presentando all’assessorato alla Sanità le pezze giustificative delle spese che intende compiere”. Un viaggio ancora fermo al palo senza un perché e non è l’unico mistero: “Vorrei capire – continua Piu – dove vanno a finire i 60mila euro delle rette mensili”. Di sicuro non nelle tasche del personale con cui abbiamo parlato ieri, che continua a prestare servizio “solo per il bene dei pazienti” ma a prezzo di un prossimo burnout.

All’enigma sopracitato se ne aggiunge un altro: “Ho parlato a dicembre – riferisce la figlia di un’ospite – con Ortu perché mi permettesse di pagare i miei 10mila euro di rette arretrate. Mi ha detto che avrei ricevuto comunicazione dall’avvocato per le modalità di versamento”. Mai pervenuta così come ad altre parenti mentre ci sono familiari – arcano nell’arcano – che sono riusciti a saldare i conti. Sul tutto aleggia il rebus delle rette pignorate in passato da alcuni dipendenti che sarebbero state sbloccate di recente. Intanto il sindacato Csa entra a gamba tesa sullo stesso Ortu: “Vogliamo le sue dimissioni – attacca il suo segretario Giovanni Piras – non ha le qualità e le competenze necessarie per svolgere quell’incarico. Siamo ai titoli di coda, lasci l’incarico”. L’interessato non replica e, sempre secondo i lavoratori, concederebbe un colloquio solo su appuntamento. Anche le nostre ripetute chiamate al commissario sono rimaste finora senza risposta. L’attesa però non potrà durare per sempre: “Siamo agli sgoccioli” avverte una dipendente.

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