È incostituzionale il termine di 24 ore concesso a un detenuto per presentare reclamo contro il rigetto di un permesso legato a gravi motivi familiari, come il pericolo di vita di un parente. Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 78, depositata oggi, accogliendo la questione di legittimità sollevata dal Tribunale di sorveglianza di Sassari.
Il caso riguardava un detenuto che aveva chiesto di visitare la sorella malata di tumore. Il magistrato di sorveglianza aveva respinto l’istanza, e il detenuto aveva presentato reclamo lo stesso giorno, riservandosi di motivarlo successivamente. Il suo difensore aveva poi reiterato il reclamo, corredandolo della documentazione medica, solo dopo averne ottenuto copia. Tuttavia, secondo l’articolo 30-bis dell’ordinamento penitenziario, il termine di 24 ore avrebbe reso il reclamo inammissibile.
Il Tribunale di sorveglianza ha quindi rimesso la questione alla Corte costituzionale, dubitando della compatibilità del termine così ristretto con l’articolo 24 della Costituzione, che garantisce il diritto di difesa. La Consulta ha ritenuto fondata la questione, evidenziando che il detenuto, in un lasso di tempo così breve, non ha materialmente la possibilità di ottenere assistenza legale o la documentazione necessaria per formulare un reclamo motivato.
Rifacendosi a un precedente del 2020 (sentenza n. 113), la Corte ha sostituito il termine di 24 ore con quello di 15 giorni, già previsto in via generale dall’articolo 35-bis della legge penitenziaria per tutti i reclami contro i provvedimenti dell’autorità giudiziaria. Resta comunque salva la possibilità per il legislatore di stabilire un termine diverso, purché rispetti il diritto alla piena difesa del detenuto.