Maestra accusata di maltrattamenti a Bonorva, colpo di scena dopo 9 anni

maestra bonorva

La vicenda della maestra accusata di maltrattamenti a Sassari.

Finisce con una piena assoluzione la vicenda della maestra di Bonorva accusata 9 anni fa da alcuni genitori di maltrattamenti nei confronti dei propri figli. Una vicenda paradossale, per le condizioni in cui si è svolto il processo, e per il colpo di scena finale.

Il processo.

La maestra, dopo 35 anni di carriera, nel frattempo è andata in pensione. Dal 2014, data della denuncia dei genitori dei bambini della classe quarta della scuola primaria di Bonorva, il processo, durato 9 anni, ha visto cambiare 8 giudici.

L’accusa di maltrattamenti alla maestra di Bonorva.

Secondo l’accusa, la donna urlava contro i bambini, tirando in classe oggetti come nastro adesivo e bottigliette di plastica, addirittura strattonando i bambini e dandogli schiaffi, insultandoli e umiliandoli. Una accusa terribile per una maestra che aveva svolto il ruolo senza mai avere alcun problema.

Tempi duri per gli educatori.

Non è stato difficile però, nonostante il processo infinito, dimostrare la falsità dell’accusa e l’innocenza della maestra. La quale avrà sì, in qualche occasione, sgridato i bambini o sbattuto il nastro adesivo sulla cattedra, ma non per arrecare danno ai bambini, bensì per ottenere il rispetto del suo ruolo di insegnante. Questo è quanto testimoniano alcuni alunni e gli altri insegnanti. In classe, infatti, secondo le testimonianze era presente un gruppetto di alunni incontrollabili, che disturbavano le lezioni e non rispettavano l’insegnante.

La fine del processo e l’assoluzione.

Come si legge su La Nuova Sardegna, oltre che con le testimonianze, i fatti sono stati ricostruiti anche grazie ad altri “reperti”. Le letterine di vicinanza e affetto recapitate all’insegnante dagli alunni “buoni” nel breve periodo in cui la docente, per questo fatto, fu sospesa dal servizio. Assoluzione piena per la donna.

Giustizia è fatta, dunque, per la maestra, che ha così potuto dimostrare la propria innocenza, riprendendosi la dignità professionale violata, troppo a lungo, da un gruppetto di alunni indisciplinati.

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